In occasione della giornata della legalità, istituita in memoria dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, vittime della mafia, uccisi rispettivamente il 23 maggio ed il 19 luglio 1993, molti anni dopo ci troviamo ancora a commemorare le loro persone, perché sono stati uomini che come pochi, ancora in grado di vivere nei cuori di tutti coloro che credono nella giustizia. In classe prima ed a casa poi in modalità DAD, con la nostra professoressa Giusy Impellizzeri, abbiamo affrontato questo tema così scottante e delicato, che sono i reati di mafia e la memoria delle loro vittime più importanti. Ho scelto di approfondire la storia del giudice Giovanni Falcone perché tutti noi abbiamo un grosso debito nei confronti di quest’uomo, e di chi come lui non ha avuto paura di mettere in gioco tutto per la giustizia la verità e la libertà dei cittadini tutti. Nonostante Giovanni Falcone oggi non ci sia più, ancora noi portiamo orgogliosamente le sue idee, e dobbiamo alle persone come lui la voglia di lottare contro tutte le mafie e di dimostrare che la Sicilia è diversa da quella che molti erroneamente pensano. La commemorazione di Giovanni Falcone è la dimostrazione che grazie alla sua vita e alla sua morte la mafia non vincerà mai.
Art. 416-bis, codice penale – Associazione di tipo mafioso
“Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da tre a sei anni. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione sono puniti, perciò solo, con la reclusione da quattro a nove anni. L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri. Se l’associazione è armata si applica la pena della reclusione da quattro a dieci anni nei casi previsti dal primo comma e da cinque a quindici anni nei casi previsti dal secondo comma. L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito. Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego. Decadono inoltre di diritto le licenze di polizia, di commercio, di commissionario astatore presso i mercati annonari all’ingrosso, le concessioni di acque pubbliche e i diritti ad esse inerenti nonché le iscrizioni agli albi di appaltatori di opere o di forniture pubbliche di cui il condannato fosse titolare. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso .” Questa è la definizione che ho trovato sul Codice Penale di mia madre, dalla quale voglio partire per parlare della MAFIA. Sulle origini di questa parola ci sono diverse storie, quella che mi ha maggiormente colpita è una storia, che posso definire leggendaria. Si racconta che un soldato francese chiamato Droetto aggredì una ragazza e che la madre terrorizzata corse per le strade, urlando «Ma – ffia! Ma – ffia!» ovvero «mia figlia! mia figlia!». Il grido della madre, ripetuto da altri, da Palermo si diffuse in tutta la Sicilia. Il termine mafia diventò così parola d’ordine del movimento di resistenza ed ebbe quindi genesi dalla lotta dei siciliani. Gli studiosi non sono riusciti a dare una data precisa circa l’inizio del fenomeno mafioso. Questo perchè essendo un’organizzazione segreta, non ci sono documenti scritti della sua nascita o elenchi dei partecipanti, norme di comportamento, o regolamenti. Alcuni fanno risalire l’origine della mafia ai primi dell’ottocento, dopo la scomparsa del mondo feudale e della nascita del processo di privatizzazione delle terre. Le terre erano coltivate dai braccianti, che durante il lavoro erano controllati da guardie armate di fucile, che ricorrevano spesso a minacce, assassini, vendette spietate, per costringere i contadini ad accettare salari da fame e durissime condizioni di lavoro. A chi era d’accordo con loro i mafiosi garantivano protezione e sicurezza. Così divennero potenti, e si rivoltarono ai proprietari terrieri, e decisero di dettare loro la legge in molte tenute, estorcendo denaro ai proprietari in cambio della protezione dei loro raccolti. Sino da allora si è sviluppata una sub-cultura criminale: è nata la mafia. Si cominciano così a formare delle vere organizzazioni locali, spesso legate a famiglie più importanti, che danno vita ad una sorta di rete di sette semi-segrete, di cosche, che consolidano il meccanismo mafioso basato sulla semplice logica di protezione-estorsione. Quindi i primi modelli di organizzazione mafiosa iniziano a circolare e a diffondersi dalla seconda metà dell’800. I principali nuclei di irradiazione del fenomeno sono i paesi dell’Agrigentino, pur rimanendo il punto di riferimento Palermo. Spesso ho sentito dire che ci sono accordi tra rappresentanti dello stato e mafiosi. E così oggi, grazie all’appoggio dei mafiosi i politici guadagnano il consenso elettorale mentre i mafiosi ottenevano in cambio ulteriore protezione dallo stato e possibilità di infiltrarsi nella gestione dello Stato e della economia italiana. Sono stati tane le persone che hanno cercato di combattere senza paura la mafia, ma sono tutte morte per mano di questa terribile organizzazione. Tra le diverse vittime della mafia, mi ha da sempre colpita la storia dei giudici Falcone e Borsellino, amici. Il 23 maggio 1992, in un attentato a Capaci, hanno perso la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Dopo meno di 2 mesi, il 19 luglio, a Palermo, la stessa sorte è toccata a Paolo Borsellino, ucciso da un’autobomba in via D’Amelio, insieme agli agenti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi e Claudio Traina. La vita dei due giudici è esempio di legalità, umanità, diritti, coraggio e amore. Hanno insegnato a tutti che non bisogna arrendersi mai, che bisogna rispettare il prossimo, e che spesso il proprio sacrificio, può essere d’aiuto e d’esempio per tutti. Giovanni Falcone aveva pochissima libertà, questo perché lottava contro la mafia e riceveva continuamente minacce di morte infatti si concedeva solo il nuoto, rinunciando al mare, andava nella piscina comunale di Palermo. Anche in questo caso, con difficoltà: non poteva andarci nelle ore di punta. La scelta era quella di andare all’alba o la sera tardissimo, naturalmente in momenti sempre diversi. Non poteva più andare al cinema: decisione obbligata, dal momento che ogni volta dovevano liberare quattro file di poltrone. E doveva rinunciare ai ristoranti: accadeva che la gente si alzasse per cambiare tavolo. Credo che lui faceva queste rinunce perché ci amava, amava la sua gente, la sua terra fatta di sole, di mare, d’arance, come diceva Lui. La sua terra fatta di armi e di morti. Ha lasciato un vuoto e tanta amarezza per quel che ha rivelato la sua morte: il nostro Paese ostacolava i magistrati “scomodi”, proprio perché guardano e adempiono i loro doveri senza piegarsi alla volontà di nessuno.
Articolo scritto da Teresa Falsaperla 3B