Per non dimenticare…

“Shoah” è il termine ebraico col quale si suole indicare lo sterminio del popolo ebraico durante il secondo conflitto mondiale.

L’espressione Shoah si riferisce al periodo che intercorre fra il 30 Gennaio1933, quando Hitler divenne Cancelliere della Germania, e l’8 maggio 1945, la fine della guerra in Europa: in questo periodo furono milioni le persone soppresse dalla follia razziale nei confronti non solo degli ebrei.

Inizialmente, fino allo scoppio della guerra, apparentemente l’obiettivo principale del nazismo e di Hitler consistette nel rendere il Reich libero dagli ebrei. Il sistema prescelto per ripulire la Germania dagli ebrei fu, in questa prima fase quello di costringerli ad emigrare. Rendendo loro intollerabili le condizioni di vita attraverso una legislazione sempre più oppressiva, si cercava di spingerli verso un esodo definitivo all’estero. Il bilancio di questa fase che va sostanzialmente dal 1933 al 1939 non ebbe successo.

Si fece così strada un’altra soluzione: deportare gli ebrei europei all’Est concentrandoli nei territori polacchi occupati. In questa operazione di concentramento dovevano essere coinvolti ovviamente anche gli ebrei polacchi.

Creare in Polonia dei grandi ghetti apparve la soluzione più appropriata. Tuttavia sin dall’inizio ci si scontrava con un altro pilastro dell’ideologia nazista: lo “spazio vitale” che la Germania doveva guadagnarsi ad Est. I territori conquistati dovevano infatti essere destinati ai tedeschi che avrebbero dovuto insediarvisi. Il concentramento nei ghetti della Polonia non poteva dunque rappresentare la “soluzione finale” del problema ebraico ma una “soluzione transitoria” in attesa della fine della guerra dopo la quale si sarebbe dovuta trovare una soluzione alternativa.

Mentre si affermava la soluzione della “ghettizzazione” la Germania stava preparando i piani di invasione dell’Unione Sovietica. In prospettiva l’invasione dei grandi territori dell’Ucraina, della Bielorussia e della Russia europea aggravava il “problema ebraico”. Infatti il numero degli ebrei che vivevano in Unione Sovietica ammontava a svariati milioni.

La soluzione del concentramento nei ghetti adottata in Polonia non sembrava praticabile. Si fece strada un’ipotesi alternativa: eliminare fisicamente gli ebrei dell’Unione Sovietica con nuclei di sterminio mobili appositamente creati.

Per la prima volta si teorizzava e applicava nel concreto un piano di eliminazione fisica. Tuttavia il sistema di sterminare gli ebrei laddove vivevano non poteva essere adottato al di fuori dell’Unione Sovietica. Lo sterminio degli ebrei occidentali non poteva essere attuato con mezzi così brutali ed evidenti. Non si potevano assassinare in massa gli ebrei olandesi, francesi, greci alla luce del sole.

Le fucilazioni compiute ad Oriente erano inimmaginabili ad Occidente. Occorreva studiare un altro metodo.

I Nazisti cominciarono a sperimentare l’uso di gas tossici per le uccisioni di massa alla fine del 1939, quando utilizzarono il monossido di carbonio puro prodotto chimicamente per eliminare i malati di mente (“Programma Eutanasia”). Dopo l’invasione dell’Unione Sovietica, iniziata nel giugno del 1941, i Nazisti cominciarono a sperimentare le camere a gas mobili, cioè furgoni ermeticamente sigillati i cui tubi di scappamento terminavano all’interno dei veicoli.

Nel 1942, nei centri di sterminio situati in Polonia, iniziò l’eliminazione sistematica dei prigionieri nelle camere a gas per mezzo del monossido di carbonio prodotto da motori diesel. Dopo essere stati “scaricati” dai vagoni bestiame, ai detenuti veniva detto che dovevano sottoporsi alla disinfestazione in apposite “docce” nelle quali venivano chiusi e uccisi con l’emanazione di un gas letale.

Il più grande sterminio fu quello di Auschwitz-Birkenau nelle cui camere a gas venivano uccise fino a 6.00 persone al giorno. L’afflusso dei prigionieri era regolato in base ai ritmi di funzionamento delle camere a gas. Per questo uomini, donne, vecchie e bambini venuti tenuti talvolta temporaneamente in campi di transito, ultima fermata prima della morte.

Ovviamente, quanto avveniva nei campi doveva rimanere segreto. Per questo davanti all’imminente arrivo degli alleati e delle truppe sovietiche i tedeschi tentavano di eliminare le tracce dei massacri compiti, bruciando documenti e baracche e cercando di distruggere camere a gas e forni crematoi, ma non riuscirono nell’intento.

Oggi sono aperti al pubblico i territori e gli edifici di Auschwitz e Birkenau. Si entra dal cancello sovrastato dalla scritta “Il lavoro rende liberi”. Nel campo ci sono 28 blocchi nei quali sono stati raccolti oggetti, documenti, fotografie. A Birkenau sono presenti resti di forni crematori e camere a gas.

Ogni volta che mi avvicino allo studio della SHOAH provo una profonda amarezza.
Penso a quanti ragazzini della mia età non hanno avuto un futuro, non hanno potuto vivere la loro vita e non hanno potuto esercitare i diritti che tutti i bambini devono avere. Alla scuola primaria ho letto alcune pagine del diario di Anna Frank e ho potuto conoscere le emozioni, le paure che i bambini a quel tempo provavano. Ogni bambino ha diritto di nutrirsi, di studiare, di giocare, di vivere serenamente la propria vita. Condivido il fatto che si possano avere idee differenti ma ciascuno deve rispettare il pensiero altrui. Nessun uomo ha il diritto di uccidere un altro uomo. Sono fermamente convinto che ogni essere umano vada rispettato al di là dei suoi orientamenti politici, religiosi. Ogni uomo è un universo dotato di peculiarità che vanno rispettate, la diversità è una ricchezza e rappresenta un valore aggiunto. Eppure l’umanità si è fatta trasportare dalle follie di un solo uomo che credendosi superiore a tutti, appartenendo ad una razza, secondo lui, migliore, si è permesso di giudicare, stabilire quale fosse la razza migliore eliminando di conseguenza gli “anormali”. Chi ha fatto ciò non è stato in grado di capire il valore della vita e che la dignità e i diritti sono uguali per tutti e non meritano di essere calpestati. Ricordare questi fatti nella giornata della memoria è fondamentale per evitare che si possano ripetere. Fa comprendere a noi ragazzi gli errori delle passate generazioni e ci fa capire anche quanto siamo fortunati a vivere un periodo storico in cui i diritti umani vengono riconosciuti e salvaguardati. La storia insegna veramente se la riflessione su quello che è accaduto ci permette di andare avanti sapendo cosa è stato, cosa siamo stati capaci di fare e come possiamo rendere questo mondo migliore.

Articolo scritto da Luigi Gurrieri CLASSE III SEZIONE A