Anche in quest’anno particolare e difficile si celebrerà la “Giornata della Memoria”. Ancora un’occasione per “non dimenticare” lo sterminio di quasi sei milioni di ebrei, oltre ai migliaia di zingari, omosessuali, oppositori politici, che Hitler aveva condannato come «Uentermenschen», sottouomini. Ricordiamo affinché l’orrore non possa ripetersi; affinché ogni manifestazione di antisemitismo, di razzismo in tutte le forme, venga condannata e messa al bando. Ricordiamo, perché la stessa enormità di quanto accadde in quegli anni, rende quel crimine quasi incredibile. La Scuola ha un ruolo fondamentale nell’educazione dei giovani e si propone, attraverso la conoscenza dei fatti storici di promuovere la consapevolezza degli effetti abnormi che l’odio dell’uomo contro l’uomo ha determinato e può determinare. La memoria della Shoah permette di far maturare nei giovani un’etica della responsabilità individuale e collettiva, cooperando al processo di promozione dell’esercizio di una cittadinanza attiva e consapevole attraverso l’acquisizione di valori presenti nella nostra Carta Costituzionale e nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo. La formazione e la sensibilizzazione delle giovani generazioni al rispetto di tali diritti è un compito fondamentale per diffondere un clima orientato alla pace, anche nelle diversità di culture e religioni.
Affinchè questo possa realizzarsi è dunque necessario conoscere, a tale scopo riteniamo che la prefazione di Primo Levi a “Se questo è un uomo” possa essere monito e allo stesso tempo parola di futura speranza. Vi invitiamo inoltre a prendere visione del concerto “Libero è il mio canto”, che affronta il dramma umano di madri, spose, ragazze e donne anziane,internate nei lager tedeschi, nei gulag russi, nei campi giapponesi e africani. Donne che composero musica, durante la seconda guerra mondiale a volte con il consenso dei loro aguzzini, a volte segretamente. Momenti di grande bellezza e valore impressi nella memoria.
Se questo è un uomo è un interrogativo che Levi pone ai lettori. Primo Levi fa una riflessione sulle conseguenze dell’annientamento dell’identità e dignità delle persone da parte dei nazisti, e si chiede se i prigionieri possano definirsi uomini dopo essere stati privati di ogni caratteristica umana, incapaci di difendersi e di reagire.
Gam Gam è una canzone scritta da Elie Botbol che riprende il quarto versetto del testo ebraico del Salmo 23.Il testo viene tradizionalmente cantato dagli ebrei durante lo Shabbat. La canzone è diventata anche un simbolo, uno degli “inni” più toccanti del genocidio che riguardò più di un milione e mezzo di bambini uccisi dai nazisti.
“Anche se andassi
nella valle oscura
non temerei nessun male,
perché Tu sei sempre con me;
Perché Tu sei il mio bastone, il mio supporto,
Con te io mi sento tranquillo“
testo di Eloi Botbol
“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario,
perché ciò che è accaduto può ritornare,
le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”
Primo Levi
Per mia fortuna, sono stato deportato ad Auschwitz solo nel 1944, e cioè dopo che il governo tedesco, data la crescente scarsità di manodopera, aveva stabilito di allungare la vita media dei prigionieri da eliminarsi, concedendo sensibili miglioramenti nel tenor di vita e sospendendo temporaneamente le uccisioni ad arbitrio dei singoli. Perciò questo mio libro, in fatto di particolari atroci, non aggiunge nulla a quanto è ormai noto ai lettori di tutto il mondo sull’inquietante argomento dei campi di distruzione. Esso non è stato scritto allo scopo di formulare nuovi capi di accusa; potrà piuttosto fornire documenti per uno studio pacato di alcuni aspetti dell’animo umano. A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo.
Mi rendo conto e chiedo venia dei difetti strutturali del libro. Se non di fatto, come intenzione e come concezione esso è nato già fin dai giorni di Lager. Il bisogno di raccontare agli “altri”, di fare gli “altri” partecipi, aveva assunto fra noi, prima della liberazione e dopo, il carattere di un impulso immediato e violento, tanto da rivaleggiare con gli altri bisogni elementari: il libro è stato scritto per soddisfare a questo bisogno: in primo luogo quindi a scopo di liberazione interiore. Di qui il suo carattere frammentario: i capitoli sono stati scritti non in successione logica, ma per ordine di urgenza. Il lavoro di raccordo e di fusione è stato svolto su piano, ed è posteriore.
Mi pare superfluo aggiungere che nessuno dei fatti è inventato.
Primo Levi